Le accuse al circuito mediatico italiano, e al sistema informativo in particolare, hanno dominato la campagna elettorale appena terminata: è stato Grillo – come noto, profondo conoscitore del piccolo schermo – a lanciare una vera e propria offensiva contro i telegiornali e le trasmissioni d’approfondimento, cui preferisce, da qualche anno, blog e comizi. Il motivo? “I politici vanno in televisione, dicono una cosa e poi ne fanno un’altra… sono i telegiornali che li tengono su e che dovrebbero essere processati”.
L’idea, più volte rilanciata, di un “processo” (pur popolare e incruento) richiama direttamente la convinzione che l’informazione sia tuttora asservita al potere politico e che in questo modo tradisca la sua originaria finalità di “cane da guardia del potere”, per usare la canonica formula anglosassone. Al tempo stesso – come accade nei periodi di campagna elettorale – l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza sul sistema radiotelevisivo, è stata spesso chiamata in causa: hainfatti dovuto più volte invitare le emittenti pubbliche e private al rispetto dei principi fondamentali sanciti dal Testo unico della radiotelevisione (D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177) improntati a garantire “l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione nonché la presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni”.